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Paolo Rossi Castelli19 feb 20202 min read

Frammenti di Ebola per battere i tumori cerebrali

Sembra strano, ma uno dei virus più letali per l’uomo, Ebola, potrebbe rivelarsi utile nella terapia di una delle forme più maligne di tumore al cervello, il glioblastoma.

I ricercatori dell’Università di Yale (uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti) hanno infatti scoperto che un gene (cioè un tratto del codice genetico) di Ebola, che codifica una proteina con un ruolo-chiave nella pericolosità del virus, se viene inserito in un altro virus (quello della stomatite vescicolare) e poi iniettato in animali con il glioblastoma, è in grado di annientare il tumore, lasciando intatte le cellule sane.

Perché avviene questo? I meccanismi non sono ancora stati chiariti – spiegano gli studiosi sul Journal of Virology – ma un ruolo chiave è attribuito a un “frammento” della proteina, chiamato MDL (mucine-line domain), che di norma aiuta Ebola a sfuggire efficacemente al sistema immunitario dell’organismo infettato, e in questo modo contribuisce alla sua letalità.

Quando il gene di Ebola viene inserito nel virus della stomatite vescicolare, questo virus – di per sé molto più debole di Ebola – viene potenziato dall’MDL e diventa capace di infettare e uccidere le cellule del glioblastoma.

La maggiore vulnerabilità delle cellule tumorali (non solo di quelle del glioblastoma) nei confronti dei virus, rispetto a quelle sane, è dovuta al fatto che il tumore non ha la possibilità di chiamare in soccorso il sistema immunitario contro l’infezione.

Proprio per questo, da anni ormai numerosi gruppi internazionali di oncologi stanno cercando di utilizzare virus modificati per combattere contro diversi tipi di cancro. Ovviamente non sono facili questi studi, perché l’uso dei virus comporta un rischio evidente: l’introduzione di malattie potenzialmente pericolose.

Per ovviare al problema, gli scienziati, tra cui i ricercatori di Yale, hanno creato virus definiti chimerici, cioè derivanti dalla combinazione di geni “prelevati” da più virus, scegliendoli in modo tale da colpire – appunto – solo le cellule tumorali, senza danneggiare il paziente.

Per adesso, come dicevamo, i buoni risultati contro il glioblastoma sono stati ottenuti solo sugli animali da laboratorio, e occorrerà tempo prima di poter estendere in sicurezza la sperimentazione anche agli uomini.

In ogni caso, secondo Anthony van den Pol, professore  di neurochirurgia all’Università di Yale e coautore dello studio, un approccio terapeutico che preveda l’abbinamento delle proteine virali alla neurochirurgia potrebbe permettere in futuro di curare con maggiore efficacia il glioblastoma e di prevenire le ricadute – se l’effetto antitumorale, naturalmente, verrà confermato.

Gli studi sono finanziati dal National Cancer Institute statunitense.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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