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Un caffè contro la solitudine dell’Alzheimer

Scritto da Catterina Seia | 30 set 2025

Il morbo di Alzheimer coinvolge milioni di persone in tutto il mondo, e rappresenta oggi un problema di salute pubblica di portata globale amplificato dal progressivo invecchiamento della popolazione. Oggi, si stima che circa 55 milioni di persone nel mondo convivano con la demenza, di cui circa il 60-70% legata a questa patologia (WHO).La prevalenza aumenta con l’età: interessa circa il 5% delle persone tra i 65 e i 74 anni (Bright Focus) e oltre il 30% negli over 85 (Clinical Interventions in Aging, 2010). Le proiezioni sono allarmanti: entro il 2050, si prevede che questa cifra possa raddoppiare, raggiungendo circa 139 milioni di individui (Alzheimer's Disease International).

 

Malattia di Alzheimer: cos'è? 

L’alzheimer è una patologia neurodegenerativa progressiva, caratterizzata dalla perdita di memoria, di funzioni cognitive e di capacità di svolgere le attività quotidiane.

Dal punto di vista biologico, l’Alzheimer è caratterizzato da due principali alterazioni: l’accumulo di placche di beta-amiloide (Neurology, 2004), formate da aggregati di proteine che si depositano tra le cellule nervose, e l’accumulo anomalo di fibrille di TAU-iperfosforilata, proteine che si accumulano in maniera anomala all’interno della corteccia cerebrale (Journal of Alzheimer's Disease, 2006). Questi processi causano danni e perdita di neuroni conseguenti alle alterazioni citopatologiche che portano alla riduzione delle dimensioni del cervello e a disfunzioni cognitive (Ageing Research Reviews, 2016).

Alzheimer: sintomi e fasi

  • lo stadio lieve, con perdita di memoria a breve termine, difficoltà nel pianificare o risolvere problemi;
  • lo stadio moderato, con deterioramento delle capacità linguistiche, disorientamento, alterazioni del comportamento;
  • lo stadio grave, con perdita completa delle funzioni cognitive, incapacità di comunicare, necessità di assistenza totale (Alzheimer's and Dementia, 2024).

 

Per i pazienti significa abdicare all’indipendenza, avere difficoltà di comunicazione e di relazione e alterazioni comportamentali e psichiche, come depressione, ansia, aggressività (WHO). 



L’impatto sui caregiver e i sistemi sanitari 

L’Alzheimer ha un severo impatto sulle famiglie, costrette spesso a riorganizzare completamente la propria vita per garantire assistenza continua. Per i caregiver familiari questo significa affrotnare uno stress emotivo e fisico costante, che può generare problemi economici (derivanti dai costi di assistenza) e il rischio di burnout e depressione.

Anche i sistemi sanitari e sociali in ogni Paese sono sovraccarichi: le case di riposo e servizi domiciliari non sono sufficienti e occorre una formazione continua degli operatori sanitari. I Paesi sviluppati mostrano tassi di prevalenza più elevati, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione (Global Digital Health Monitor).

Tuttavia anche le nazioni in via di sviluppo stanno vivendo un incremento dei casi (World health statistics, 2025), spesso con sistemi sanitari meno preparati ad affrontare questa sfida. I costi globali stimati per la cura della demenza si aggirano intorno ai 1.3 trilioni di dollari all’anno (dato relativo al 2019, WHO 2021), comprendendo assistenza sanitaria, assistenza sociale e perdita di produttività sia per i pazienti che per i caregiver (Global Dementia Observatory).

Alzheimer: cause scatenanti 

 L’origine dell’Alzheimer è complessa e multifattoriale. Sebbene la causa esatta non sia ancora completamente compresa, diversi fattori influenzano il rischio di sviluppare la malattia: l’età, la genetica (la presenza di geni come l’APOE ε4 aumenta il rischio – Molecular Neurodegeneration, 2022), gli stili di vita. Obesità, diabete, ipertensione, sedentarietà, fumo e consumo eccessivo di alcol sono associati a una maggiore probabilità di sviluppare la malattia, oltre ai fattori socio ambientali, istruzione, livello di stimolazione mentale e fattori socioeconomici (WHO).

Diagnosi dell’Alzheimer 

La diagnosi precoce è fondamentale per la gestione della malattia, ma può essere complessa soprattutto nelle fasi iniziali. Essa viene effettuata attraverso esami clinici, test neuropsicologici, risonanze magnetiche e tac cerebrali, analisi del liquido cerebrospinale e biomarcatori genetici (Istituto Superiore di Sanità).
Tuttavia, non esiste ancora una cura definitiva e nessun trattamento può fermare o invertirne la progressione. I farmaci inibitori dell'acetilcolinesterasi e memantina possono rallentare i sintomi (Alzheimer's and Dementia, 2012), ma un grande supporto può arrivare da terapie non farmacologiche come la stimolazione cognitiva (Istituto Superiore di Sanità) e la terapia occupazionale e creativa (Ageing Research Reviews, 2023).

Prospettive future 

Sono attivi intensi percorsi di ricerca su diverse direttrici di ricerca e innovazione, per trovare terapie più efficaci e, possibilmente, una cura.
Il futuro della lotta contro l’Alzheimer si basa prevalentemente sulla ricerca genetica e sui biomarcatori, con l’identificazione dei più precoci e affidabili per una diagnosi tempestiva, e lo studio dei geni coinvolti per sviluppare terapie personalizzate.

Si stanno sperimentando immunoterapie e farmaci che mirano a rimuovere le placche di beta-amiloide, terapie cellulari e di rigenerazione neuronale.

La promozione di stili di vita sani, dieta equilibrata, esercizio fisico e stimolazione mentale con programmi di educazione e sensibilizzazione è la strada necessaria, per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie (WHO).

Un nuovo sguardo che porta speranza 

Il professor Brian Lawlor del GBHI-Global Brain Health Institute irlandese, nel suo blog Dementia Researcher (2025), afferma che la cura della demenza ha bisogno di una rivoluzione per la salute del cervello. Sostiene che è tempo che i medici ripensino al modo in cui vedono e trattano la demenza, perché troppo spesso vanno incontro alla “disperazione terapeutica”. Lawlor propone un approccio alla salute del cervello che metta al centro un'assistenza proattiva e personalizzata. Ciò significa gestire le comorbilità, aiutare i pazienti per modificare il decorso della malattia e mantenere la qualità della vita.

Per una risposta sociale: gli Alzheimer Caffé 

L’Alzheimer non è solo una malattia individuale, ma un fenomeno sociale di enorme portata, che richiede risposte integrate e innovative. Affrontarlo significa adottare un approccio multidisciplinare, e costruire politiche pubbliche e sistemi sanitari che favoriscano investimenti nella ricerca e nell’assistenza, nello sviluppo di reti di supporto integrate e di servizi domiciliari efficaci. Un percorso che deve unire ricercatori, medici, politici, caregiver e società civile.

Alzheimer Caffé: cosa sono 

Nel supporto ai pazienti e ai caregiver gli Alzheimer Caffé rappresentano un modello innovativo di assistenza sociale e supporto comunitario. Questa formula di successo, nata nel 1997 in Olanda, si è rapidamente diffusa nel mondo diventando un punto di riferimento per la gestione della malattia.
L’idea nasceall'Università di Leiden nei Paesi Bassi grazie all’iniziativa di Bère Miesen, uno psicologo specializzato nella terza età che desidera creare uno spazio di incontro informale e di supporto per le persone con demenza e le loro famiglie. Con la denominazione “Café” si vuole richiamare l’idea di un luogo accogliente, informale e di convivialità, lontano dagli ambienti clinici tradizionali. L’obiettivo principale è offrire un contesto in cui le persone con demenza e i loro caregiver possano condividere esperienze, ricevere informazioni sulla malattia, partecipare a attività sociali e sentirsi meno isolate.

Gli Alzheimer Caffé sono generalmente organizzati come incontri periodici, spesso mensili, in ambienti informali come caffetterie, centri comunitari o spazi dedicati alla salute. La partecipazione è aperta a tutti, senza necessità di prenotazione, in un ambiente accogliente e privo di stigmatizzazioni.

Alzheimer Caffé: attività 

Le attività svolte durante gli incontri possono includere presentazioni e discussioni su aspetti della malattia, attività ricreative e terapeutiche, come musica, arte, giochi cognitivi, sessioni di supporto emotivo e gruppi di confronto tra caregiver, consulentze di professionisti sanitari e la condivisione di risorse e informazioni sui servizi disponibili. Un elemento chiave è la presenza di personale formato: infermieri, assistenti sociali, psicologi o volontari, sono presenti e in grado di facilitare le discussioni e garantire un contesto rispettoso e di supporto.

 

Alzheimer Caffé: benefici  

Numerosi studi evidenziano l’efficacia degli Alzheimer Caffé nel migliorare la qualità della vita delle persone con demenza e dei loro familiari. È acclarato come l’incontro con altre famiglie e professionisti permetta di spezzare le solitudini, contribuendo alla riduzione dell’isolamento sociale (International Psychogeriatrics, 2011), e che le informazioni fornite aiutino i caregiver a comprendere meglio il decorso della condizione e ad adottare strategie più efficaci nella gestione della patologia.

La partecipazione ai gruppi di sostegno allevia ansia, depressione e senso di colpa. Va rilevato come contribuiscano all’incremento della consapevolezza pubblica, favorendo una maggiore accettazione e inclusione delle persone con demenza (Alzheimer's Disease International, 2016). 

 

Verso una società a misura di tutti  

La diffusione degli Alzheimer Caffé nel mondo testimonia l’importanza di approcci umani, partecipativi e informali nel fronteggiare le sfide poste dalla malattia di Alzheimer. Per affrontare efficacemente questa realtà crescente, è fondamentale continuare a promuovere e sostenere iniziative come queste, investendo in formazione, ricerca e innovazione.
Solo attraverso un’azione condivisa e globale sarà possibile costruire un futuro più inclusivo e solidale per tutte le persone affette da demenza e le loro famiglie e gestire con successo questo fenomeno complesso e devastante.
La strada è ancora lunga, ma la ricerca e la consapevolezza stanno aprendo nuove speranze per il futuro. 

 


         

 

A cura di Catterina Seia (Presidente CCW – Cultural Welfare Centre) e Elena Rosica ( Cultural Welfare Center (CCW), Research Area)