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Verso una nuova cultura della longevità in buona salute

Scritto da Catterina Seia | 24 giu 2025

Longevità significa più tempo da vivere, ma anche nuove responsabilità per la società. L’invecchiamento della popolazione è una sfida globale, ma anche un’opportunità per ripensare salute, benessere e relazioni. Promuovere un invecchiamento attivo e sostenere chi si prende cura degli anziani è oggi più che mai necessario.

L’invecchiamento della popolazione è una delle trasformazioni demografiche globali più rilevanti del nostro tempo, con conseguenze significative su tutti i settori, dalla sanità all’economia, dal mondo del lavoro all’assistenza sociale. Siamo nell’era della cultura per la longevità.
Nel 2024, l’aspettativa di vita media globale ha raggiunto i 73,3 anni, segnando un incremento di oltre otto anni rispetto al 1995 (World Health Organization, 2025). In tutti i paesi si registra un aumento della percentuale di persone anziane e secondo le stime entro il 2050 il numero di individui con 60 anni o più raddoppierà, superando i 2,1 miliardi. Ancora più marcato sarà l’incremento tra le persone che supereranno gli 80 anni, il cui numero triplicherà rispetto al 2020, arrivando a 426 milioni (World Health Organization, 2024)

I dati sull’invecchiamento della popolazione (H2)

Secondo i dati Eurostat più recenti  (1° gennaio 2024), l’Italia si conferma il paese dell’Unione Europea con la quota più elevata di popolazione anziana, registrando il 24,3% di residenti con oltre 65 anni, dato che, secondo le analisi Istat 2025 è in ulteriore aumento (+0.4%). Seguono, a breve distanza, il Portogallo con il 24,1% e la Bulgaria con il 23,8%. Sempre l’Italia detiene anche il primato per l'indice di dipendenza degli anziani : al 1° gennaio 2025, per ogni persona con 65 anni o più si contano meno di tre individui in età lavorativa (15-64 anni), corrispondente a un rapporto pari al 39%. Inoltre, secondo l’ultimo Rapporto annuale dell'ISTAT, l’indice di vecchiaia ha raggiunto il 199,8%, segnalando una presenza di anziani quasi doppia rispetto a quella dei giovani.
In questo quadro, caratterizzato da un invecchiamento della popolazione sempre più marcato, è fondamentale promuovere strategie che favoriscano la longevità in termini di qualità dell’esistenza, autonomia e benessere delle persone anziane e di chi se ne prende cura.

Invecchiamento attivo e sano

Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha promosso un nuovo approccio all’invecchiamento sano attraverso un documento strategico, l’Active Ageing: A Policy Framework, fondato sulla valorizzazione delle potenzialità individuali (fisiche, psicologiche e relazionali) nel corso di tutta la vita.
L’invecchiamento sano viene definito come un processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza al fine di garantir la longevità in buona salute. Questo approccio include il coinvolgimento attivo nella comunità, in base a interessi, bisogni e competenze personali, garantendo il sostegno necessario in caso di fragilità e contribuendo a contrastare la solitudine.

L’invecchiamento attivo è da intendere anche come una “palestra cognitiva”. Nel suo libro La fioritura dei neuroni. Come far sbocciare la nostra intelligenza per tutta la vita (2024), la neuroscienziata italiana Michela Matteoli, direttrice del programma di Neuroscienze dell’ospedale universitario Humanitas di Milano, spiega come il cervello umano mantenga una notevole capacità di apprendimento anche in età avanzata. In particolare, è stato osservato che l’acquisizione di nuove competenze e l’allenamento regolare delle facoltà cognitive influenzano positivamente la materia bianca, rallentando la perdita mielinica che normalmente accompagna l’invecchiamento.

La mielina, infatti, svolge un ruolo cruciale nella trasmissione degli impulsi nervosi: maggiore è il suo spessore, più rapido e sincronizzato sarà il passaggio dei segnali tra le diverse aree del cervello.
L’apprendimento continuo – come studiare, leggere, imparare una lingua straniera o vivere esperienze relazionali e culturali – stimola anche la formazione di nuove sinapsi, rafforza quelle esistenti e ne migliora l’efficienza.
Tutto ciò rappresenta un modo efficace per contrastare il declino e preservare più a lungo le capacità mentali. Infatti, il patrimonio di connessioni sinaptiche costruito nel tempo costituisce una riserva cognitiva, una forma di protezione contro il deterioramento, che contribuisce a compensare, almeno in parte, i danni causati da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o dai processi naturali legati all’invecchiamento.

Solitudine degli anziani: chi se ne prende cura?

La rottura delle reti sociali e la conseguente solitudine degli anziani, è una delle prime tappe della vulnerabilità. Favorire l’invecchiamento attivo e condizioni di dignità, significa costruire reti di supporto istituzionale. Tuttavia, quando queste sono assenti o insufficienti, molti anziani si trovano ad affrontare situazioni di solitudine e isolamento sociale, condizioni che possono avere conseguenze significative sulla salute fisica e mentale, come dimostra una ricerca pubblicata nel 2024 su "The Lancet Healthy Longevity". Attraverso una revisione sistematica di 130 studi osservazionali condotti a livello internazionale, gli autori hanno evidenziato come l’assenza di una rete sociale efficace sia associata a un aumento del rischio di mortalità, al deterioramento delle capacità fisiche e al declino cognitivo. Si tratta di un rischio particolarmente rilevante, soprattutto considerando dati recenti che documentano l’ampia diffusione della solitudine nella generazione senior.
Secondo l’OMS, 1 anziano su 4 vive in una condizione di isolamento sociale (World Health Organization, 2023), mentre tra i paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), la solitudine colpisce il 7,4% degli over 65 (How’s Life?, OCSE, 2024).
In Italia, la situazione è particolarmente preoccupante, poiché si registra la percentuale di anziani soli più elevata tra i paesi europei: un dato allarmante per una popolazione sempre più attenta alla longevità. Stando ai dati dell’indagine PASSI d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, nel biennio 2022-2023 il 15% degli anziani ha dichiarato di vivere in una condizione di isolamento sociale, realtà significativamente più diffusa nella quarta età, con una prevalenza del 32% tra gli over 85 rispetto al 10% dei 65-74enni.

In molti casi, infatti, la responsabilità dell’assistenza ricade sulle famiglie, sugli amici o sui vicini, che offrono supporto gratuito, senza riconoscimento istituzionale né adeguati strumenti di sostegno.

Caregiver informali: un pilastro invisibile dell’assistenza agli anziani

Il Rapporto Supporting informal carers of older people: Policies to leave no carer behind, pubblicato nel 2022 dall’OCSE, offre un‘analisi della situazione dei caregiver informali nei diversi Paesi membri. In media circa il 60% degli anziani che ricevono assistenza dichiarano di affidarsi esclusivamente all’aiuto dei caregiver familiari e circa il 13% delle persone con più di 50 anni afferma di fornire regolarmente supporto informale su base settimanale. Di conseguenza, la rete relazionale rappresenta la principale colonna portante dell’assistenza agli anziani, sollevando interrogativi rilevanti sulle politiche di welfare e sulla necessità di sostenere chi presta cura in modo informale. Il rapporto Study on exploring the incidence and costs of informal long-term care in the EU (Commissione Europea, 2021) evidenzia come il ruolo di caregiver informale possa incidere in modo rilevante sul benessere psicologico di chi presta assistenza. In particolare, prendersi cura di un familiare, soprattutto se si tratta del coniuge, comporta un notevole carico emotivo. Le persone coinvolte in forme di assistenza intensa – superiori alle 20 o 40 ore settimanali – tendono a sperimentare alti livelli di stress, ansia e isolamento. La pressione psicologica è ancora più marcata nei casi in cui manca un supporto esterno e l’intero peso dell’assistenza ricade su una sola persona, che rischia di sviluppare forme di esaurimento emotivo e sintomi depressivi.

 

Il ruolo dei musei nel supporto agli anziani e ai caregiver

Il contatto costante con le opportunità di apprendimento può costituire una leva strategica non solo per stimolare le capacità cognitive della persona anziana, ma anche per rafforzare il legame affettivo attraverso esperienze condivise tra chi riceve assistenza e il caregiver (formale o informale) contribuendo al benessere di entrambi.
Una revisione sistematica, condotta da un team dell’University College London e pubblicata nel 2023 sulla rivista "Ageing Research Reviews", ha analizzato 34 studi sull’impatto degli interventi artistici e culturali (come visite a musei e gallerie, attività teatrali e musicali) rivolti ad anziani con demenza e ai loro caregiver informali. I risultati evidenziano un miglioramento del benessere emotivo dei partecipanti e una stimolazione delle capacità cognitive, come memoria, attenzione e linguaggio, nelle persone con demenza.
Dal punto di vista qualitativo, partecipare ad attività condivise al di fuori del contesto di cura quotidiano ha contribuito a rafforzare il legame affettivo tra caregiver e care-recipient, trasformando la relazione di cura in un’esperienza centrata sul piacere dello stare insieme. Inoltre, ha offerto occasioni di socializzazione, generando benefici percepiti in termini di scambio di esperienze e supporto reciproco, promuovendo un invecchiamento sano e attivo.

La stessa nuova definizione di museo approvata nell’agosto 2022 da ICOM internazito dell’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM tenutasi a Praga, rappresenta il nuovo ruolo di queste centrali istituzioni nella società contemporanea: la creazione di ambienti accoglienti e rappresentativi delle diverse identità culturali, capaci di superare barriere fisiche, cognitive ed economiche valorizzando la partecipazione attiva delle comunità e la condivisione delle conoscenze, promuovendo un approccio collaborativo, con una offerta culturale ampia e diversificata, che trasformi la visita in un’esperienza capace di educare, stimolare la riflessione e generare benessere.
Da tre anni, la rete di Museum Next vara un forum internazionale, Museums, Health & Well-Being Summit (28-29 gennaio 2026) che esplora il potenziale dei musei nella promozione del benessere, dal contrasto all’isolamento sociale allo sviluppo dell’infanzia, fino al miglioramento della salute mentale, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione, come gli anziani.
Recentemente, il Museum Summit 2025 (28-29 marzo), promosso dal Leisure and Cultural Services Department (LCSD) del Governo della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong, piattaforma di dialogo per la comunità museale globale, ha dedicato una giornata alle potenzialità dei musei nel promuovere il ben-essere mentale, fisico e sociale. Si moltiplicano anche i progetti di sistema, frutto della collaborazione tra il mondo della sanità e quello della cultura, che aprono prospettive concrete per interventi futuri più strutturati, inseriti in quadri di politiche territoriali, come Reframing Care: Art + Wellness  varato nel 2023 dalla Phillips Collection, museo d’arte moderna di Washington, per supportare i caregiver e le persone con demenza attraverso l’arte.
L’iniziativa a favore della longevità combina conversazioni guidate sulle opere esposte, attività creative e momenti di meditazione, creando spazi di socializzazione e condivisione con l’obiettivo di promuovere connessioni positive tra caregiver e assistiti.

Come rilevato dal rapporto Study on exploring the incidence and costs of informal long-term care in the EU, molti caregiver desiderano acquisire competenze pratiche per migliorare la qualità dell’assistenza e affrontare il proprio ruolo con maggiore sicurezza. In questa direzione si colloca il progetto House of Memories, avviato già dal 2012 dal National Museums Liverpool, che promuove la sensibilizzazione sulla demenza attraverso percorsi formativi, accesso alle risorse e attività museali. Il programma offre corsi gratuiti rivolti a operatori sanitari e caregiver, con l’obiettivo di sviluppare competenze e favorire la condivisione di esperienze. Le valutazioni condotte sui partecipanti indicano un miglioramento nella percezione del proprio ruolo e nella qualità della relazione di cura.
I caregiver, familiari e professionali, che si trovano spesso in una condizione di fragilità psicologica e bisognosi di un supporto articolato, possono trovare nei musei un’opportunità concreta non solo in chiave educativa, ma anche come spazio accogliente in cui rafforzare la relazione con la persona assistita, promuovere il benessere reciproco e offrire un’alternativa alla quotidianità del prendersi cura.

 

         

 

A cura di Catterina Seia (Presidente CCW – Cultural Welfare Centre) e Elena Rosica ( Cultural Welfare Center (CCW), Research Area)