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Stimolazione cerebrale profonda anche per l’ictus

Scritto da Paolo Rossi Castelli | 07 set 2023

Sperimentazione alla Cleveland Clinic (USA) su 12 pazienti con una emiparesi da moderata a grave. Sottili elettrodi inseriti nel cervelletto hanno permesso di migliorare gli effetti della riabilitazione.

La stimolazione cerebrale profonda (in sigla DBS), già utilizzata contro la malattia di Parkinson e altre patologie neurologiche, potrebbe trovare una nuova applicazione in un ambito che finora era stato studiato solo sui modelli animali: quello delle emiparesi e in generale dei danni conseguenti a un ictus ischemico.

Una sperimentazione (la prima del suo genere) effettuata su volontari umani dai neurologi e bioingegneri della Cleveland Clinic (uno dei più quotati ospedali degli Stati Uniti) dimostra, infatti, che la stimolazione elettrica di una zona specifica del cervello chiamata nucleo dentato cerebellare può migliorare sensibilmente il movimento e la funzionalità degli arti, e aumenta le possibilità di recupero. I risultati della ricerca sono apparsi sulla rivista scientifica Nature Medicine.

La DBS, lo ricordiamo, prevede l’inserimento di sottili elettrodi nel cervello, fino alle specifiche aree individuate dagli esperti (l’intervento viene eseguito dai neurochirurghi). Gli elettrodi sono poi collegati a un dispositivo chiamato pacemaker cerebrale, che emette deboli impulsi elettrici per stimolare in modo controllato le regioni ”bersaglio”.

Test per otto mesi

Nell’ambito dello studio, di fase I (quella iniziale), chiamato EDEN (Electrical stimulation of the DEntate Nucleus), 12 persone che avevano avuto un ictus da uno a tre anni prima, e che mostravano un’emiparesi da moderata a grave della parte superiore del corpo, sono state sottoposte all’intervento per l’impianto dei microelettrodi nel cranio (il nucleo dentato si trova nel cervelletto, la parte del cervello sotto gli emisferi cerebrali, che ha un ruolo importante nella gestione motoria dell’organismo). I 12 pazienti si sono sottoposti poi alla normale riabilitazione, tenendo il dispositivo spento per alcune settimane.

Quindi lo hanno acceso, e tenuto connesso per 4-8 mesi, in modo da avere la possibilità di confrontare le due situazioni. In effetti, la differenza è apparsa evidente: dopo l’avvio della DBS, il recupero delle funzionalità motorie è nettamente migliorato, e 9 dei 12 volontari hanno ottenuto progressi considerati statisticamente significativi nelle scale che valutano le conseguenze dell’ictus e il successivo recupero.
In particolare, coloro che avevano conservato una minima capacità di movimento hanno triplicato i punteggi iniziali: un dato estremamente positivo.

Inoltre, nessuno ha avuto danni o effetti indesiderati. La stimolazione cerebellare (in questo caso) profonda, il cui protocollo è stato brevettato dai medici della Cleveland Clinic (l’ospedale è gestito da una fondazione senza fini di lucro), potrebbe quindi rappresentare un valido aiuto per chi deve fare i conti con la disabilità associata a un ictus, perché migliora il movimento e l’equilibrio, e rende la riabilitazione più efficace.

Già avviata la "fase due"

Naturalmente, però, occorreranno altri studi, su campioni più ampi, per confermare quanto visto a Cleveland e mettere a punto protocolli specifici per applicare la DBS su pazienti con vari gradi di disabilità post-ictus. Va anche considerato che la DBS è comunque un intervento delicato, da riservare a persone ben selezionate. La Cleveland Clinic, in ogni caso, ha già avviato uno studio di fase II (in totale le fasi di sperimentazione sono tre), con il sostegno finanziario della BRAIN Initiative (un importante progetto che coinvolge numerosi istituti di ricerca negli Stati Uniti) e dei National Institutes of Health.