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Catterina Seia15 giu 20216 min read

Un Ciak per il benessere

Il cinema come strumento di riabilitazione per i caregiver, da una recente ricerca, sviluppata durante la pandemia.

Nel 1996 prende avvio nel Regno Unito il progetto MediCinema - Feel Better With Film. Il percorso di un quarto di secolo negli ospedali acclara la valenza culturale e terapeutica dell’esperienza.

L’attivazione positiva dei pazienti e del carer attenua la condizione di disagio dovuta alla patologia e può assumere un ruolo significativo nell’accettazione delle terapie convenzionali e sulla loro stessa efficacia.

La visione di film, accuratamente selezionati, in una vera e propria sala cinematografica tecnologicamente all’avanguardia, seppur ospedaliera, muove benefici sia per effetto della socializzazione, ovvero della condivisione con persone in analoghe condizioni di difficoltà.

Il buio favorisce la concentrazione e la focalizzazione delle emozioni. Il momento di leggerezza dà evasione e sollievo, contribuisce a favorire l’astrazione per calarsi in contesti positivi. Muove processi empatici, la lettura delle proprie emozioni, da dentro e fuori di sé. Alcuni studi sperimentali (neurocinematics) arrivano a documentare la tesi sotto il profilo dell’impatto neuronale, misurando l’impatto biologico della visione delle immagini in movimento.

Nel 2013, su questo modello prende vita MediCinema Italia , un progetto solidale che offre esperienze gratuite ai pazienti, di prime visioni, inserito nell’ecosistema ospedaliero in responsabilità condivisa con le diverse strutture ospitanti, oggi ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano e al Policlinico Gemelli di Roma.

I benefici toccano i carer, professionali e familiari, arricchendo la stessa vita relazionale dell’ospedale e il suo clima organizzativo. I benefici possono riscontrarsi sui carer anche nella vita quotidiana. Proprio l’importanza della cineterapia nella gestione del burden è al centro del recente studio “Il cinema come tecnica riabilitativa: intervento sui caregiver e i pazienti con deterioramento cognitivo” realizzato da Medicinema Italia Onlus, sostenuta dalla Fondazione Gnocchi, con il Centro di Neuropsicologia Cognitiva del Niguarda.

Cos’è il burden?

“L’assistenza di un famigliare con disabilità richiede energie e tempo, e crea spesso isolamento sociale e stress e può diventare burden, una vera e propria condizione patologica - dichiara la prof.ssa Gabriella Bottini, neurologa e docente di Neuroscienze Cognitive presso il Neuroscience and Society LabDepartment of Brain and Behavioral Sciences (DBBS) dell’Università degli Studi di Pavia e Responsabile del Centro. Per burden si intende il carico sulla persona che assiste in risposta ai cambiamenti di tipo cognitivo e comportamentale del proprio familiare malato. Può colpire la sfera della socialità, quella economica, quella della fatica fisica e/o quella emotivo-psicologica, fino ad arrivare a esperire una condizione di “lutto anticipato” causato dalla perdita della relazione con il paziente”.

Chi sono i caregiver e qual è il loro ruolo?

Solitamente i caregiver sono famigliari di pazienti con un’età media di 59,2 anni, il 70 %, sono donne, solitamente le figlie (64,2% per le pazienti donne). Recentemente si è visto un aumento di caregiver fra i partner dei pazienti (il 37%) specialmente quando il malato è un uomo. Si stima che in Italia ci siano circa 3 milioni di caregiver coinvolti direttamente o indirettamente nell’assistenza.

Il caregiving solitamente richiede un impegno di 7 ore al giorno in maniera diretta e 11 di sorveglianza generale. Il 66% dei caregiver ha dovuto lasciare il lavoro, il 10% ha chiesto il part time, mentre, specialmente tra le donne il 37,2% sostiene di fare assenze ripetute sul lavoro.

Come si può evincere, a causa della loro situazione, i caregiver vanno incontro ad oneri di tipo finanziario, sociale, economico, fisico ed emotivo. In particolare, dal punto di vista dei problemi di salute, specialmente le donne manifestano: stanchezza (80,3%), sonno insufficiente (63,2%), depressione (45,3%), ammalarsi spesso (26,1%). Esistono strumenti appositi per misurare il burden come il Caregiver Burden Inventory o il Caregiver Grief Questionnaire.

In termini di carico economico, si stima che l’abbandono del posto di lavoro si verifica al 66%, la richiesta di part-time il 10% e le assenze ripetute sul lavoro del 37,2%.

La cineterapia come cura

La ricerca sulla cineterapia è stata applicata alla realtà di pazienti affetti da patologie neurodegenerative e ai loro caregiver.

Il terapeuta (o il counselor) ha individuato uno o più film da mostrare a cadenza regolare e acceso la discussione con il carer, al fine di promuovere la riflessione sulle proprie problematiche.

Per lo studio sono stati creati 50 cortometraggi di circa 10 minuti ciascuno, composti da materiale d’archivio dalla Cineteca Italiana. Per l’efficacia della valutazione statistica, sono stati selezionati cortometraggi positivamente emotivi e cortometraggi neutri, somministrati in modo randomizzati anche a 50 soggetti sani, selezionati in maniera casuale da un campione di popolazione in tre sedute a cadenza settimanale.

In ogni sessione, sono stati raccolti dati sullo stato emotivo dei partecipanti attraverso scale per la depressione e il livello d’ansia. Per la valutazione dei filmati è stata adottata la medesima metodologia utilizzata da Lang e colleghi per standardizzare stimoli sonori e visivi. Il Self-Assessment Manikin-SAM (Lang, 1980; Bradley & Lang, 1994) è stato utilizzato per acquisire valutazioni affettive.

La visione di film come supporto psicologico durante il confinamento

L'emergenza sanitaria imposta dalla pandemia ha costretto a una rimodulazione, e talvolta sospensione, di numerosi servizi socio-sanitari, ma Medicinema Italia ha continuato da remoto questa attività, testandone l’effetto anche mediante la piattaforma Zoom perché “Con il confinamento la situazione si è ulteriormente aggravata. - sottolinea la prof.ssa Bottini - Da un lato, sono aumentati i pazienti rimasti soli, per via del contagio o per la perdita di parenti, con la conseguente necessità da parte di altri familiari non conviventi di ricevere indicazioni su come coordinare l’assistenza a distanza; dall’altra la chiusura dei servizi territoriali e socio-sanitari, soprattutto nei primi mesi dell’anno, ha costretto i caregiver coniugi a limitazioni più severe e a una convivenza più serrata con il malato. Questo cambiamento della routine e l’isolamento hanno favorito un incremento vertiginoso dei disturbi comportamentali e un peggioramento delle autonomie di base e capacità funzionali”.

Questa rimodulazione di supporto a distanza ha consentito di contenere il rischio di discontinuità assistenziale. Su 165 accessi, 114 si sono approcciati al servizio per la prima volta e si è registrato un incremento di caregiver che si sono rivolti al servizio a più riprese.

Le restrizioni imposte dall’isolamento hanno inoltre modificato la natura delle richieste dell’utenza, che divengono sempre più articolate.

È quasi raddoppiata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (32% nel 2019 vs 53% nel 2020) la necessità di ricevere supporto psicologico che sottolinea l'importanza dell'inserimento di forme di supporto strutturate con impronta sociale.

Mai come quest'anno i percorsi di umanizzazione della cura hanno rappresentato una risorsa essenziale per i familiari.

È in continuo incremento, infatti, la necessità da parte dei familiari di ricevere ascolto e sostegno psicologico per contenere il burden, ovvero il carico di stress causato dall’assistenza quotidiana al familiare con disabilità.

“I risultati preliminari dell'intervento sembrano incoraggianti e sicuramente rappresentano l'inizio di un percorso di ricerca sulla creazione di protocolli scientifici che regolino l'utilizzo di strumenti adeguati a processi di cura ispirati a modelli complessi che includano le componenti sociali nella terapia e nell’assistenza".


A cura di Catterina Seia

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Catterina Seia

Co-Founder e Presidente CCW-Cultural Welfare Center; Co-Founder e Vice-Presidente della Fondazione Fitzcarraldo; Vice-Presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna

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