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IBSA Foundation_vocal fatigue
Paolo Rossi Castelli09 mar 20232 min read

Disfonia, ci pensa l’intelligenza artificiale

Un dispositivo leggero, applicato sullo sterno e collegato a un sistema di intelligenza artificiale in grado di auto-apprendere, permette di segnalare i rischi legati a un uso eccessivo della voce.

Si chiama vocal fatigue, ed è laffaticamento della voce che tipicamente colpisce, oltre ai cantanti professionisti, anche gli insegnanti, gli operatori dei call center, i politici, gli allenatori sportivi e chiunque utilizzi intensamente la voce per le proprie attività. Di solito non comporta conseguenze gravi, ma solo la necessità di far riposare, per qualche ora, le corde vocali. Però in alcuni casi può condurre a danni permanenti, o a trasformazioni del tono e del timbro, oltre al fatto che l’infiammazione cronica associata può predisporre alla formazione di polipi.

Per arginare questi problemi, i ricercatori della Bienen School of Music della Northwestern University di Evanston (Stati Uniti), che da anni lavorano sulla voce (compromessa, per esempio, da un ictus o da un incidente o, in tempi più recenti, dal Covid e dal Long Covid), propongono un dispositivo avanzato tecnologicamente, che può aiutare a capire per tempo, prima che sia tardi, quando è il momento di fermarsi.

L’intelligenza artificiale che viene in aiuto ai disturbi della voce 

Grazie a un programma di intelligenza artificiale e alla collaborazione di cantanti professionisti, oltreché di bioingegneri, gli studiosi americani hanno messo a punto un piccolo strumento da applicare allo sterno con un semplice cerotto, che registra le vibrazioni associate alla voce, e invia le informazioni a una serie di algoritmi installati in un tablet. Quando il limite viene superato, il dispositivo avverte chi lo indossa tramite una vibrazione trasmessa da un braccialetto simile a quello degli ospedali.

L'analisi dei dati viene eseguita dal sistema utilizzando tecniche di apprendimento automatico in tempo reale, e separando la “dosimetria vocale” associata al parlato e al canto, da quella dei suoni ambientali. Il dispositivo raccoglie anche una vasta gamma di informazioni sulle attività cardiache e respiratorie, e sullo sforzo fisico complessivo.

Il tutto ha una sua app, che aiuta anche a definire limiti e programmi personalizzati, perché ogni individuo, a seconda della sua conformazione anatomica e dell’utilizzo della voce, può avere limiti diversi.

Anni per “istruire” il  programma di intelligenza artificiale

Come i ricercatori hanno riferito sulla rivista scientifica PNAS, per giungere a uno strumento così confortevole e versatile, ci sono voluti anni di studio e di sessioni di istruzione” del programma di intelligenza artificiale, avvenuta con la registrazione delle voci di cantanti professionisti, che hanno alimentato una sorta di archivio completo delle possibili vibrazioni emesse dalla voce umana, distinte tra quando si parla e quando si canta.

Quindi, tutta la gamma di suoni è stata tarata in modo da stabilire i limiti giornalieri medi oltre i quali non si deve andare, e il tutto è stato trasferito in un programma che analizza le vibrazioni emesse, le elabora e trasmette i segnali via blue tooth al braccialetto, così come al programma sul tablet e alla app. Quest’ultima può permettere anche a un terapista di monitorare la situazione o, nel caso dei cantanti professionisti, a un maestro di mettere a punto programmi di studio personalizzati, affinché la voce non subisca danni.

In condizioni normali, la vocal fatigue si risolve con una ventina di minuti di silenzio. A volte, tuttavia, occorre fare di più, e chi lavora con la voce dovrebbe evitare di arrivare alla necessità di un riposo forzato. Lo strumento della Northwestern potrebbe diventare un valido aiuto per questi scopi.

 

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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