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Più malattie autoimmuni per colpa della peste nera
Paolo Rossi Castelli10 nov 20223 min read

Più malattie autoimmuni per colpa della peste nera

La rivista Nature pubblica i risultati di uno studio sui campioni di ossa prelevati dai resti di persone vissute prima e dopo la pandemia del 1350. Solo chi aveva un sistema immunitario “aggressivo” è sopravvissuto e ha tramandato queste caratteristiche, che oggi possono creare problemi.

Se oggi una parte della popolazione è particolarmente a rischio di sviluppare una malattia autoimmune, la responsabilità è, anche, dell’epidemia più mortale con cui l’umanità abbia mai fatto i conti: quella della cosiddetta peste nera, la peste veicolata dal batterio Yersinia pestis che arrivò a uccidere tra il 30 e il 50% della popolazione europea nel XIV secolo (1346-1350), tornando poi più volte, a ondate successive, anche nei secoli seguenti.
Questa è la conclusione a cui sono arrivati i ricercatori della McMaster University (Canada) e dellUniversità di Chicago (Stati Uniti), che hanno appena pubblicato sulla rivista scientifica Nature i risultati del loro studio di archeogenetica, la stessa disciplina per la quale, poche settimane fa, lo svedese Svante Pääbo ha vinto il premio Nobel per la medicina e la fisiologia.

Il quesito di partenza era chiaro: capire se e in che modo un evento così catastrofico fosse stato in qualche modo registrato” nel DNA di chi lo aveva vissuto, e avesse o meno indirizzato la selezione naturale e la nostra risposta odierna alle malattie.
Per rispondere, gli archeogenetisti hanno esaminato 318 campioni di ossa e denti di persone vissute prima, durante, e due generazioni dopo l’epidemia, a Londra (cercando anche nelle
fosse della peste” di East Smithfield, usate per sepolture di massa nel 1348), e 198 campioni provenienti dalla Danimarca, per avere un dato meno vincolato a una specifica realtà sociale e geografica. Il risultato è stato che tra i campioni prelevati erano presenti oltre 400 varianti del codice genetico associate alla comparsa delle peste.

Le mutazioni favorevoli

I ricercatori hanno identificato, in particolare, alcuni geni (cioè alcuni tratti del DNA) coinvolti nella produzione di proteine ​​che difendevano lorganismo dagli agenti patogeni invasori, e hanno scoperto che esistevano versioni differenti di quei geni, chiamate alleli, in grado di proteggere con maggiore o minore forza chi li possedeva dalla peste. Solo le varianti favorevoli hanno consentito di superare la terribile malattia, e sono poi state trasmesse alle generazioni successive dai sopravvissuti.

Gli studiosi hanno concentrato l’attenzione soprattutto sulle varianti di un gene chiamato ERAP2, che ha un ruolo importante nellattivazione delle difese, arrivando alla conclusione che i “possessori” dell’allele più protettivo, replicato due volte, avevano il 40-50% in più di probabilità di sopravvivere. Ma quella variante “doppia”, che era favorevole 700 anni fa perché rendeva più efficace e aggressivo il sistema immunitario, è oggi associata, invece, a una maggiore suscettibilità alle patologie autoimmuni, in particolare alla malattia di Crohn e all’artrite reumatoide. Le patologie autoimmuni, lo ricordiamo, sono provocate da reazioni sbagliate del sistema difensivo dell’organismo, che attacca per errore le cellule sane.

Varrà lo stesso principio anche per il Covid 19?

«Individuare le dinamiche che hanno plasmato il sistema immunitario umano – spiega Hendrik Poinar, coordinatore dello studio – ci aiuta a capire in che modo le pandemie del passato, come la peste, hanno contribuito a renderci vulnerabili alle malattie nei tempi moderni». Perché, ribadisce Poinar, un sistema immunitario più reattivo, o troppo reattivo, sbaglia più facilmente, e dà origine più spesso a una reazione autoimmune.
Nei prossimi decenni studi simili verranno eseguiti per capire se, e in che modo, anche altre epidemie, più o meno recenti, hanno
plasmato” in modo permanente il nostro sistema immunitario. Molta attenzione verrà rivolta anche agli effetti del coronavirus SARS-CoV-2, responsabile del Covid.

 

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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