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Paolo Rossi Castelli04 dic 20203 min read

Preoccupa Chapare, nuovo e pericoloso virus in Bolivia

Si chiama Chapare, ed era un virus sconosciuto fino a qualche tempo fa, ma adesso fa paura.

In particolare gli esperti stanno cercando di capire da dove provenga e che caratteristiche abbia, perché ha ucciso quattro persone.

A parlarne, durante il meeting annuale della Società americana di medicina tropicale e igiene (ASTMH), sono stati i ricercatori dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, che hanno raccontato quanto sta accadendo in Bolivia, e hanno fornito anche ipotesi preliminari su due tipi di roditori – i ratti pigmei del riso e i ratti pigmei del riso dalle orecchie piccole – che trasportano il virus e che potrebbero diffonderlo agli esseri umani attraverso il contatto diretto con gli escrementi, o l’urina.

Il virus è stato identificato per la prima volta nella provincia di Chapare (da cui ha preso il nome), nel 2003, dove una persona infetta era deceduta. Poi si sono perse le sue tracce fino al 2019, quando cinque persone, vicino a La Paz, la capitale della Bolivia, hanno mostrato i segni della malattia.

Inizialmente si era pensato alla febbre dengue, che presenta sintomi molto simili. Ma i ricercatori dei CDC, insieme a quelli del Ministero della salute boliviano e a quelli della Pan-American Health Organization, hanno invece appurato, indagando con tecniche sofisticate, che in realtà le cinque persone avevano contratto il Chapare (due pazienti hanno trasmesso il virus a tre operatori sanitari che li avevano soccorsi). Di queste persone, tre sono morte.

Le autorità boliviane hanno allora inviato campioni di sangue e di tessuti a un laboratorio statunitense di livello 4, ad alta biosicurezza (BSL-4, lo stesso tipo di struttura in cui viene trattato il coronavirus). E lì la mappatura genetica del virus ha mostrato che si trattava, appunto, dello stesso tipo che aveva infettato il primo paziente, nel 2003: il Chapare.

Il contagio fra esseri umani, pensano gli esperti, può avvenire attraverso il contatto con qualunque fluido biologico, quali sangue, urina, saliva e sperma.

Si è anche visto che il Chapare è molto resistente: nello sperma di uno dei sopravvissuti il virus è stato trovato ben 168 giorni dopo la prima diagnosi. Sempre secondo gli esperti, la diffusione in Bolivia potrebbe essere superiore rispetto a quanto stimato dopo i primi casi.

La malattia si presenta come una febbre emorragica e produce sintomi sovrapponibili, almeno in parte, a quelli di Ebola. Le persone colpite soffrono di febbre, dolore addominale, vomito, gengive sanguinanti, eruzioni cutanee e dolore dietro agli occhi. Non esiste, per adesso, un trattamento specifico, ma solo cure di supporto per cercare di placare almeno i sintomi più gravi.

Il Chapare appartiene agli arenavirus, una “famiglia” che comprende anche altri virus pericolosi, come quello chiamato Lassa, o come Machupo. Chi sopravvive può riportare estesi danni d’organo.

I ricercatori hanno concentrato l’attenzione sui ratti pigmei del riso, come possibili vettori del virus, perché in alcuni animali di questo tipo, presenti nelle vicinanze della casa di una delle vittime (un agricoltore), è stato trovato materiale genetico virale: circostanza che non costituisce di per sé una prova, ma è comunque un forte indizio.

I ratti pigmei del riso sono diffusi in tutta la Bolivia e in diversi Paesi vicini. Questi roditori, fra l’altro, sono un serbatoio naturale anche per altri virus simili, come il Lassa.

«Anche se molti aspetti del virus Chapare rimangono sconosciuti – ha commentato Joel Breman, presidente della ASTMH – è lodevole la rapidità con cui i ricercatori sono stati in grado di sviluppare, questa volta, un test diagnostico, confermare la trasmissione da uomo a uomo e scoprire la presenza di materiale genetico virale nei roditori». Ora verranno intensificate le analisi e la sorveglianza. Il Centro boliviano per le malattie tropicali ha identificato altri tre casi sospetti, incluso quello di un bambino. Ma queste tre persone, fortunatamente, sono sopravvissute.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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