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Redazione IBSA28 ott 20145 min read

Mente e social media: come cambia l’individuo?

Una persona su quattro nel mondo utilizza i social media ed entro il 2017 gli utilizzatori mondiali di social media sono calcolati oltre i due miliardi e mezzo. Facebook, Twitter, Whatsapp, Pinterest ed altri social media di recente generazione, in uso soprattutto tra i giovanissimi (i cosiddetti “nativi digitali”), fanno ormai parte integrante del nostro vivere quotidiano. Non fosse altro per il tempo che ognuno di noi dedica a questi strumenti digitali che non sono più solo mezzi di comunicazione, ma vere e proprie estensioni della nostra individualità nell’intessere a sviluppare relazioni con il prossimo. Ecco perché IBSA Foundation si è fatta promotrice insieme all’Università Cattolica dell’organizzazione di un incontro tra studiosi ed esperti internazionali dei social media per discutere l’impatto di tali tecnologie nelle nostre vite e, soprattutto, affrontare il tema se esse abbiano un ruolo, o meno, nel modificare la nostra individualità. L’incontro dal titolo “Mente e social media: come cambia l’individuo?” si è svolto il 28 ottobre 2014 presso l’Università Cattolica a Milano e ha visto la partecipazione di Silvia Misiti, Direttore di IBSA Foundation, Gianni Riotta, Kate Davis, Giuseppe Riva, con la moderazione di Pierangelo Garzia.

Davanti a un centinaio di partecipanti, tra studenti, ricercatori, appassionati di nuove tecnologie e gente comune, Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione e Psicologia e Nuove Tecnologie della Comunicazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, autore di Nativi Digitali (Il Mulino) ha sottolineato come un aspetto rilevante dei social media riguarda il tipo di vissuti emozionali ed aspettative che riponiamo in essi. Giuseppe Riva è anche autore, con il suo team di collaboratori, di una ricerca che IBSA Foundation ha voluto supportare su un fenomeno diffuso ormai in modo virale, riguardante per l’appunto l’identità, che è la pratica dei “selfie”.
La ricerca ha già mostrato dei risultati preliminari interessanti. 150 partecipanti (35% maschi, 65% femmine), con età media di 32 anni, hanno completato un questionario sui dati anagrafici; uno sul loro utilizzo di social media, sull’attività del selfie e sulle motivazioni associate ad esso; il questionario Big Five Inventory per la misurazione dei tratti di personalità.
Per quanto riguarda il primo obiettivo di ricerca, è emerso che gli scopi riconosciuti all’attività del selfie sono soprattutto “far ridere e divertire gli altri” (39%), “vanità” (30%) e “raccontare un momento della propria vita” (21%). Quanto ai motivi per cui le persone si fanno i selfie, emerge che se li fanno non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).
Rispetto al secondo obiettivo di ricerca, le donne si fanno notevolmente più selfie degli uomini, e risultano più interessate alle motivazioni interiori (“mi faccio selfie per mostrare come sono e come mi sento”). Inoltre, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e anche di temere maggiormente di ricevere commenti negativi dagli altri. Arrivando all’ultima domanda di ricerca, sono tre gli aspetti della personalità che risultano associati all’attività del selfie. Le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso). Inoltre, essere molto estroversi si associa a un maggior utilizzo dei selfie per mostrare agli altri “come ci si sente”, mentre essere molto coscienziosi si associa al non essere particolarmente interessati ai commenti degli altri ai propri selfie, positivi o negativi che siano. Da ultimo, il tratto del neuroticismo o instabilità emotiva (tipico di persone che tendono a provare emozioni negative come rabbia e tristezza, sovente diffidenti nei confronti degli altri) si associa significativamente all’essere particolarmente preoccupati dalla possibilità di ricevere commenti negativi.
Secondo il giornalista e scrittore Gianni Riotta, grande utilizzatore del web e dei social media, autore di Il web ci rende liberi? (Einaudi), tra i relatori dell’incontro, già docente di comunicazione a Princeton e residente a New York, ci sono grandi differenze tra gli USA e l’UE quando si parla di sviluppo & tecnologia in generale. La cultura USA è in generale più aperta al cambiamento, fiduciosa verso la tecnologia, più modernizzante. La società italiana sta invece rallentando – secondo Riotta – l’Italia ha paura dell’innovazione, va online ma non utilizza il web con lo stesso atteggiamento di ricerca che si riscontra all’estero – ricerche internazionali ma anche nazionali da anni mostrano una predilezione italiana per i social network (e soprattutto per FB rispetto a Twitter ad esempio, fatta eccezione per i giovani che prediligono Twitter e Whatsapp).
Infine, con l’intervento di Kate Davis, professore associato all’University of Washington Information School, autrice con Howard Gardner di Generazione App. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale (Feltrinelli), si è entrati nel vivo di una domanda cruciale: quali sono le implicazioni nello sviluppare la propria mente e la propria identità in un mondo digitale? Nel suo intervento, Davis ha esplorato il ruolo dei media digitali in tre aree vitali della vita adolescenziale: l’identità, l’intimità e l’immaginazione. Basandosi su un ampio e vario programma di ricerca svolto con i colleghi della Harvard University, comprese interviste dirette con i giovani, focus group di coloro che lavorano con loro, nonché un raffronto originale e unico di produzioni artistiche giovanili, prima e dopo la rivoluzione digitale, Davis ha indagato sia le potenzialità che gli svantaggi delle nuove tecnologie multimediali per i giovani di oggi. La metafora della “app” servirà ad illuminare gli usi di una tecnologia che promuove un forte senso di identità, favorisce relazioni profonde, stimola la creatività, e anche gli usi che pongono sfide per lo sviluppo dei giovani nelle tre aree vitali summenzionate.

 

Location

Università Cattolica di Milano

Data

28 ottobre 2014

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