La solitudine è una delle grandi emergenze silenziose del nostro tempo. Si rivela come una condizione trasversale che colpisce giovani e anziani, persone fragili e cittadini comuni. È un fenomeno in crescita che incide sulla salute e richiede risposte sistemiche e inclusive. Dati recenti e nuove strategie come la prescrizione sociale mostrano la strada per affrontarla: ascolto, comunità e connessione tra le persone.
La sindemia Covid-19 ha avuto l’effetto di accendere i riflettori su alcune fragilità sociali che non possono più essere ignorate. Tra queste spicca la solitudine che affligge milioni di persone nel mondo e che richiede risposte tempestive.
I numeri della solitudine: un fenomeno in crescita
Nello scenario europeo, uno studio condotto nel 2022 su 25.000 cittadini ha fotografato la diffusione del fenomeno. L’indagine, promossa dal Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC) in collaborazione con il Parlamento europeo nell’ambito del progetto pilota Monitoring Loneliness in Europe, ha rilevato che il 10% e il 13% degli intervistati si sente solo costantemente o per gran parte del tempo. L’Irlanda si posiziona al primo posto con il 23% di persone che dichiarano di convivere con la solitudine, seguita da Grecia e Bulgaria (entrambe al 17%). In Italia il dato raggiunge il 13%, mentre Spagna, Austria e Repubblica Ceca registrano le percentuali più basse, tra il 9% e il 10%.
Un altro studio, pubblicato nel 2024 su Psychological Science, ha rilevato che la solitudine non aumenta in modo lineare con l’età, ma presenta due picchi significativi nelle fasce della popolazione giovane e anziana. I giovani adulti sperimentano spesso solitudine in momenti di transizione e gli anziani possono sentirsi soli a causa della perdita di relazioni significative, dell’isolamento abitativo e del declino della salute. La fascia di età centrale, invece, tende a mostrare livelli più bassi di solitudine, probabilmente grazie alla maggiore stabilità della rete sociale.
Ulteriori approfondimenti sul contesto europeo sono disponibili nel volume Loneliness in Europe. Determinants, Risks and Interventions (2024), sempre curato dal JRC, che lancia l’allarme evidenziando come i tassi più alti di solitudine si registrino tra i giovani, in particolare nelle donne tra i 16 e i 24 anni.
Lo conferma un sondaggio pubblicato nel 2024 secondo cui più della metà dei giovani europei ammette di sentirsi sola. Il 57% tra i 18 e i 35 anni ha riportato una solitudine moderata o intensa, con la percentuale più alta in Francia (63%) e in Germania al 51%.
Nonostante la solitudine giovanile sia una realtà diffusa, solo una minima parte delle politiche europee sul tema è rivolta a questa fascia d’età. Appena l’8% degli interventi è pensato per i giovani, mentre oltre la metà – il 53% – è destinata agli anziani.
Chi è più esposto e quali sono i rischi per la salute?
Secondo il rapporto Loneliness in Europe, oltre a giovani e anziani, la solitudine colpisce con maggiore frequenza anche le persone che vivono in condizioni economiche svantaggiate: bassi redditi e povertà materiale o educativa limitano le occasioni di partecipazione sociale e culturale. Allo stesso modo, disoccupati, migranti, persone con disabilità o malattie croniche, caregiver – formali e informali – e coloro che affrontano problemi di salute mentale rientrano tra i gruppi a rischio, spesso penalizzati da barriere strutturali, discriminazioni o carenza di supporti. In questo quadro, vanno considerati anche i giovani che sperimentano forme estreme di chiusura relazionale, come il fenomeno dei giovani in assoluto ritiro (hikikomori), che è sempre più diffuso anche in Europa. Spesso è legato a disagio psicologico, isolamento prolungato e difficoltà di reinserimento nei circuiti scolastici, lavorativi e sociali.
In un articolo pubblicato dalla BBC nel marzo 2025 si spiega che la solitudine non dipende solo dall’assenza di una rete sociale, ma nasce spesso dalla mancanza di legami significativi o dall’insoddisfazione per la qualità delle relazioni. Nel dibattito scientifico, infatti, viene distinta in tre definizioni principali.
Le forme della solitudine
La social isolation si riferisce a una condizione oggettiva di assenza o scarsità di relazioni sociali (Parsons 2020; Beckers et al. 2022). Pur essendo una condizione “oggettiva”, non esiste un parametro universalmente condiviso sul numero minimo di relazioni necessarie per non essere considerati isolati, poiché tali aspettative variano in base ai contesti culturali e alle fasi della vita.
La solitude descrive invece una condizione di isolamento volontario, spesso positiva, ricercata per scopi personali come meditazione, riflessione o creazione artistica.
Diversa è la loneliness, intesa come percezione soggettiva di insoddisfazione rispetto alle proprie relazioni sociali. È una condizione dolorosa che può manifestarsi anche in presenza di una rete sociale ampia (Peplau & Perlman 1982; Sha’ked & Rokach 2015; Ozawa-De Silva & Parsons 2020).
La solitudine involontaria può essere anche classificata in base alla sua dimensione temporale:
- situazionale, connessa a eventi specifici;
- esistenziale, legata alla mancanza di uno scopo (Ozawa-De Silva 2020);
- transitoria, se di breve durata;
- cronica, quando si protrae oltre i due anni (Young 1982).
Negli ultimi anni, la lettura della solitudine è cambiata: non viene più considerata solo come una fragilità individuale, ma come una questione collettiva, sistemica, che riflette le disuguaglianze sociali e le carenze delle reti di protezione e inclusione. Parallelamente, molti governi hanno varato iniziative per combattere l’epidemia della solitudine. Ad esempio, il Regno Unito ha istituito un Ministero dedicato nel 2018, seguito dal Giappone nel 2021. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato nel 2023 una Commissione per la Connessione Sociale, con l’obiettivo di affrontare questo fenomeno su scala globale, promuovendo politiche capaci di rafforzare i legami tra le persone e di prevenire le conseguenze negative dell’isolamento.
L’impatto della solitudine sulla salute
Secondo l’OMS, la solitudine ha effetti negativi sia sulla salute mentale che su quella fisica, influenzando anche l’aspettativa di vita delle persone Sole o a Rischio di Solitudine (SoaRS).
Sul piano psicologico, l’isolamento sociale è strettamente collegato a un aumento del rischio di depressione, ansia e alti livelli di stress. Chi sperimenta una mancanza prolungata di relazioni interpersonali può sviluppare sentimenti di sfiducia, abbattimento emotivo e sofferenza interiore che impattano negativamente sul benessere quotidiano.
Dal punto di vista fisico, la solitudine è associata a un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, ictus e persino demenza. Può inoltre indebolire il sistema immunitario e compromettere la qualità del sonno, rendendo l’organismo più vulnerabile a una vasta gamma di problemi di salute.
Uno degli aspetti più preoccupanti è che la solitudine può aumentare il rischio di morte prematura in misura pari (e in alcuni casi superiore) a fattori noti come il fumo, l’obesità e l’inattività fisica.
Cosa fare? La prescrizione sociale come ponte tra le persone e il territorio
Nel passaggio da una società basata su legami stabili, come quelli offerti da famiglia, scuola, o comunità locale, a una realtà più frammentata e digitale, sono venuti meno molti dei tradizionali punti di riferimento collettivi.
In questo contesto, la cultura e le occasioni di partecipazione sociale possono assumere un ruolo fondamentale: eventi culturali, attività condivise e spazi di aggregazione non solo offrono opportunità di crescita personale, ma diventano anche strumenti per creare nuove connessioni umane. Promuovere iniziative accessibili e diffuse a livello di quartiere, soprattutto nei contesti dove il rischio di isolamento è maggiore, significa investire in reti di prossimità capaci di contrastare la solitudine e rafforzare il senso di appartenenza alla comunità.
In questo contesto, la prescrizione sociale si sta affermando a livello internazionale come uno strumento efficace per contrastare la solitudine (abbiamo parlato approfonditamente di prescrizione sociale in questo articolo).
Attraverso questo servizio, operatori sanitari e link workers aiutano le persone a entrare in contatto con le risorse presenti sul territorio, come gruppi di supporto, laboratori creativi, attività motorie, progetti culturali o iniziative di volontariato. In questo modo, le SoaRS (le persone sole e a rischio di solitudine) possono ritrovare occasioni di partecipazione e costruire legami significativi, riscoprendo interessi e un senso di appartenenza.
Secondo la National Academy for Social Prescribing, la prescrizione sociale ha un impatto concreto contribuendo a migliorare il tono dell’umore, l’autostima e la qualità delle relazioni interpersonali.
L’efficacia della prescrizione sociale
La ricerca Social Prescribing for Children and Youth: A Scoping Review (2024), condotta da Caitlin Muhl, ricercatrice presso la Queen’s University di Kingston (Canada) con un team interdisciplinare di studiosi provenienti dalla stessa università e dall’Università di Toronto, ha analizzato alcuni studi sull’applicazione della prescrizione sociale nella fascia giovane della popolazione. La revisione ne ha presi in esame nove pubblicati tra il 2020 e il 2024, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rivolti soprattutto a giovani tra i 15 e i 25 anni e, sebbene le evidenze siano ancora limitate, i risultati indicano un potenziale miglioramento nella riduzione della solitudine, suggerendo che la prescrizione sociale possa rappresentare una risorsa preziosa anche per il benessere relazionale e psicologico dei più giovani.
Per quanto riguarda la popolazione adulta, uno studio condotto nel Queensland (Australia) e pubblicato nel 2024 su «Frontiers» ha valutato l’efficacia della prescrizione sociale su un campione di individui con un’età media di 54 anni, accomunati da esperienze di isolamento e scarsa connessione sociale. La ricerca ha messo a confronto due approcci: da un lato, le cure tradizionali fornite dal medico di base; dall’altro, un percorso integrato di prescrizione sociale. Dopo otto settimane, i partecipanti inseriti in quest’ultimo percorso hanno mostrato una riduzione della solitudine e un aumento della fiducia verso gli altri. Con il supporto dei link workers, i partecipanti sono stati coinvolti in attività di gruppo come laboratori artistici, sport all’aperto, iniziative educative e momenti di socializzazione. Oltre a rafforzare il senso di connessione sociale, questi interventi hanno prodotto benefici anche sul piano psicologico, pur richiedendo in alcuni casi tempi più lunghi per manifestare appieno i loro effetti. Al contrario, il gruppo trattato esclusivamente con cure mediche non ha registrato progressi simili.
Contrastare la solitudine: alcuni casi studio
Fondamentali sono le esperienze sul campo che traducono questo approccio in interventi strutturati. Tra queste, merita attenzione il progetto Isolation to Connection, attivo nella zona di Long Island (New York), nato per contrastare la solitudine tra gli anziani che vivono al di fuori di strutture residenziali o case di cura. Avviato nel 2021 grazie alla collaborazione tra la UJA Federation di New York e il team geriatrico di Northwell Health, il programma si avvale di figure specializzate – i Connection Specialists – che operano all’interno di centri comunitari e aiutano le SoaRS ad accedere a risorse locali utili a ricostruire relazioni sociali. I partecipanti possono accedere autonomamente al servizio e vengono accolti attraverso un primo colloquio, che prevede anche una breve valutazione del livello di solitudine. In base ai bisogni rilevati, vengono indirizzati verso attività come club del libro, pranzi collettivi, programmi culturali, di volontariato o semplici supporti pratici, come il trasporto o l’assistenza alimentare. Il progetto, che si fonda su un forte legame con il territorio e sul coinvolgimento attivo all’interno della comunità, si distingue per il suo approccio integrato, riconoscendo la solitudine come una vera e propria minaccia per la salute e offrendo risposte concrete per favorire la connessione sociale.
I dati, le ricerche e le esperienze raccolte dimostrano che la solitudine è un fenomeno trasversale, che attraversa età, condizioni sociali e geografie. Di fronte a questo scenario non bastano misure temporanee, ma servono politiche pubbliche lungimiranti, la messa a sistema delle azioni comunitarie e un rinnovato investimento nelle relazioni umane, tra cui la formazione dei link workers, figure indispensabili di collegamento. Contrastare la solitudine non è solo una responsabilità individuale, ma un impegno collettivo per rafforzare il tessuto sociale di cui tutti facciamo parte.
A cura di Catterina Seia (Presidente CCW – Cultural Welfare Centre) e Elena Rosica ( Cultural Welfare Center (CCW), Research Area)
