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Paolo Rossi Castelli23 set 20213 min read

Immunoterapia, test per capire in anticipo se funziona

Un certo numero di pazienti non trae benefici dalle più innovative cure contro i tumori, per motivi ancora sconosciuti. Ricercatori USA hanno individuato un marcatore per evitare terapie inutili.

Gli oncologi del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York hanno ottenuto un risultato inseguito ormai da quasi dieci anni: l’identificazione di un marcatore di sensibilità all’immunoterapia oncologica, cioè una sostanza (o un insieme di sostanze) o varianti del codice genetico che permettano di capire, prima di iniziare le cure, se un certo malato risponderà o meno alle terapie più avanzate contro il cancro (per esempio, ai cosiddetti inibitori del checkpoint): terapie che si basano sul “risveglio” e sul potenziamento del sistema immunitario del paziente stesso per battere i tumori.

È infatti noto ormai da tempo che, per motivi ancora sconosciuti, una certa quota di malati non risponde, o risponde in modo del tutto insoddisfacente a tali cure. E ciò significa che queste persone sono quindi destinate a perdere mesi preziosi, a subire comunque gli effetti collaterali dei farmaci e a disperdere denaro (gli immunoterapici, che sono quasi tutti anticorpi monoclonali, hanno un costo molto elevato).

Nel corso degli anni sono stati identificati alcuni marcatori, per cercare di riconoscere in anticipo i pazienti destinati ad avere un buon successo, grazie all’immunoterapia oncologica, ma nessuno di questi “segnali” è mai apparso del tutto affidabile e chiaro.

I ricercatori newyorkesi hanno allora pensato di analizzare un gran numero di nuovi, possibili marcatori, per vedere se emergesse o meno qualche altro candidato promettente.

Hanno così controllato il sangue di 94 persone con tumori della vescica e di 188 pazienti con melanomi metastatici (due delle forme di cancro per le quali è prescritta l’immunoterapia), misurando un centinaio di possibili marcatori nei campioni di sangue relativi ai giorni immediatamente precedenti l’inizio della terapia, e hanno fatto centro.

Marcatore LAG3

Come riferisce la rivista Science Translational Medicine, l’attenzione degli studiosi si è focalizzata soprattutto su un possibile marcatore chiamato LAG3 (una sigla che sta per lymphocyte-activation gene 3 e indica una proteina presente sui linfociti T, cellule fondamentali del sistema immunitario).

Ebbene, i ricercatori hanno visto che i pazienti con alti livelli di LAG3 (da loro chiamati pazienti LAG3+) avevano risposto molto meno, o addirittura non avevano risposto, all’immunoterapia oncologica, rispetto a coloro (definiti LAG3-) che avevano una quantità più bassa di quella proteina sulla parete esterna dei linfociti T.

Di conseguenza, i pazienti LAG+ hanno mostrato un tempo di sopravvivenza molto più breve rispetto ai pazienti LAG-.

In particolare, per i malati di melanoma la riduzione media della vita è stata di più di quattro anni (22,2 mesi di sopravvivenza dopo l’immunoterapia per i LAG+, rispetto ai 75,8 mesi dei LAG-). Anche per i pazienti con carcinoma della vescica i risultati sono stati dello stesso tipo, per quanto riguarda la risposta al trattamento, la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione (cioè l’intervallo di tempo nel quale il tumore non dà segni di progredire, appunto).

Perché avviene questo?

La proteina LAG3 ha il compito di inibire il sistema immunitario, per evitare guai, come malattie autoimmuni, nei pazienti sani. Nelle persone con un tumore, invece, tutto questo può trasformarsi in un boomerang. Nuovi studi saranno necessari per capire se LAG3 potrà diventare un parametro efficace e sicuro su larga scala, ma le premesse ci sono tutte.

A favore di questa tecnica interviene anche la facilità di esecuzione: «Fare un semplice prelievo di sangue e in un paio di giorni avere le informazioni per prendere una decisione su quale terapia applicare... Direi che non ci potrebbe essere niente di meglio di così - conferma Margaret Callahan, ricercatrice del Parker Institute for Cancer Immunotherapy presso il Memorial Sloan Kettering, che ha coordinato lo studio. - Certo, è necessario ancora molto lavoro prima che i risultati della nostra ricerca possano essere applicati ai pazienti in clinica, ma siamo davvero convinti di potercela fare».

La speranza è anche quella di mettere a punto nuovi farmaci (dunque, non solo test “predittivi”), basati sul ruolo della proteina LAG3, per combattere con maggiore efficacia alcune forme di cancro.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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