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placebo
Paolo Rossi Castelli18 mar 20212 min read

L’effetto placebo? Reale, forte, ancora misterioso

Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications porta elementi nuovi sul modo, complesso, in cui il cervello gestisce ed elabora il dolore. Studiati 600 pazienti.

 

Quanto è reale l’effetto placebo, che si ottiene somministrando farmaci inerti (a volte, solo pillole di zucchero) al posto di quelli veri, senza che il paziente lo sappia (soprattutto durante le sperimentazioni di nuove terapie), ottenendo comunque un effetto positivo e tangibile, a volte addirittura superiore a quello dei medicinali reali?

Da lungo tempo si sa che la potenza dell’autosuggestione può essere molto forte, ma i meccanismi cerebrali che portano a questi risultati non erano stati svelati nei dettagli.

Adesso uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications dai neurologi della Dartmouth University di Hanover (Stati Uniti) e di alcune università europee, aderenti al Placebo Imaging Consortium, porta un po’ di chiarezza a proposito dell’effetto placebo contro il dolore.

Coinvolte diverse aree cerebrali

I ricercatori hanno messo insieme (in quella che viene definita metanalisi) i dati di 20 studi relativi a oltre 600 persone, per capire con maggiore precisione, grazie a tecniche avanzate di imaging (risonanza magnetica funzionale e altre), che cosa succede nel cervello, quando si pensa di essere sotto l’effetto di una terapia antidolorifica.

I test effettuati nell’ambito dei 20 studi hanno portato a capire alcuni aspetti significativi. Innanzitutto, si è visto che vengono coinvolte diverse aree cerebrali, con l’attivazione di un gran numero di neuroni. In particolare, interviene il talamo, che è un’importante porta d’ingresso per gli stimoli sensoriali. Gli studiosi hanno dimostrato che lo stimolo doloroso viene poi elaborato da altre zone del cervello, in modi che differiscono da persona a persona, in una sorta di costruzione mentale, molto variabile. L’effetto placebo interviene su questo sistema dolore, riducendo l’attività delle aree coinvolte nella segnalazione precoce del dolore stesso e/o nella sua elaborazione, compreso il ricordo di dolori precedenti.

D’altronde, sono numerose le testimonianze che vanno in tale direzione. Si è visto, per esempio, nell’ambito di altri studi, che la somministrazione di una pillola antidolorifica di colore rosso e di grosse dimensioni produce mediamente più effetto di una pillola piccola, dai colori sbiaditi, perché viene ritenuta inconsciamente più efficace (evidentemente una pillola più appariscente riduce in partenza gli stimoli nervosi del “sistema dolore”). Allo stesso modo, a parità di morfina somministrata a pazienti oncologici, i risultati sono più efficaci se il medico o l’infermiere avvertono il malato, preannunciandogli l’arrivo del farmaco.

«Dobbiamo chiarire ancora molti aspetti legati a come il cervello costruisce le esperienze dolorose – conferma Tor Wager, coautore dello studio pubblicato da Nature Communications. – Sicuramente interviene un mix di aree cerebrali, che in parte elaborano gli input provenienti dal corpo e in parte sono coinvolte nella motivazione e nel processo decisionale».

Una grande variabilità

La domanda, pensando all’effetto placebo, è, a questo punto: il farmaco ritenuto antidolorifico, anche se non lo è (o, comunque, il farmaco ritenuto più efficace), modifica il modo in cui arrivano gli stimoli al cervello, o il modo in cui questi stimoli vengono elaborati?

Dai dati delle risonanze, la risposta che emerge è: probabilmente entrambi, perché di volta in volta ci sono attivazioni di più aree riferibili ai due tipi di effetti. Quale sia la parte dominante dipende molto dal contesto, dalla predisposizione del singolo, dal tipo di esperienza, e così via.

Tutto ciò conferma quanto l’effetto placebo sia reale e complesso, e soprattutto lascia intravvedere nuovi spunti per possibili applicazioni sia in ambito terapeutico sia, ad esempio, per quanto riguarda le anestesie negli interventi chirurgici.

 

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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