Skip to content
Paolo Rossi Castelli26 giu 20202 min read

Più rischi di effetto serra per “colpa” di un virus

Sulla superficie delle acque degli oceani un fago (cioè un virus che infetta i batteri) rischia di modificare i delicati equilibri che regolano la produzione di ossigeno e quella di anidride carbonica. L’attenzione dei ricercatori è puntata, in particolare, sui batteri del genere Prochlorococcus marinus, che fanno parte del plancton e vivono principalmente nelle zone tropicali e subtropicali (in un numero strabiliante: sono circa 10 seguito da 27 zeri, cioè un quadriliardo), dove utilizzano la luce del sole per produrre ossigeno e, nello stesso tempo, immagazzinare un’enorme quantità di anidride carbonica (almeno 4 miliardi di tonnellate). In questo modo riducono l’effetto serra provocato in tutto il mondo.

Secondo gli studiosi, questi batteri sono gli organismi fotosintetici (cioè in grado di produrre ossigeno grazie alla luce e a particolari pigmenti) più abbondanti sulla Terra. Appartengono ai cianobatteri: i microrganismi che, 2,4 miliardi di anni fa, furono i primi a immettere nell’atmosfera grandi quantità di ossigeno. Ora, però, come dicevamo, i cianobatteri del genere Prochlorococcus marinus sono insidiati da un particolare fago, che li infetta e ruba l’energia da loro prodotta, riprogrammandone il codice genetico. Un team di studiosi della Rice University (Stati Uniti) ha cercato di capire come avvengono queste alterazioni, scoprendo che i fagi determinano una serie di cambiamenti in proteine chiamate ferredoxine. «Quando il virus infetta il Prochlorococcus marinus – ha spiegato Ian Campbell, autore principale di questa ricerca – interrompe la produzione delle proteine batteriche e sostituisce queste molecole con le sue varianti. È come se, in un computer, venisse inserito un diverso sistema operativo». In altre parole, i fagi riescono a ri-orientare la macchina metabolica del batterio e a farle produrre ferredoxine diverse da quelle normali, utili solo per la sopravvivenza del fago stesso. I cianobatteri non muoiono, come accade in seguito all’infezione da parte di altri fagi, ma continuano a vivere, rimanendo del tutto asserviti alle necessità del virus. E questo inibisce la capacità, da parte del Prochlorococcus marinus, di immagazzinare CO2 (l’anidride carbonica).

I risultati dello studio della Rice University sono stati pubblicati dal Journal of Biological Chemistry. Per ricostruire nel dettaglio questi meccanismi, i ricercatori hanno utilizzato un sofisticato sistema di biologia sintetica, come viene definita in termine tecnico (la biologia sintetica permette di assemblare diversi “pezzi” del codice genetico per ottenere il modello desiderato). Nel caso del Prochlorococcus marinus, gli studiosi hanno ricostruito le parti attive del cianobatterio e quelle del fago all’interno di un altro batterio, molto più facile da maneggiare e da studiare, l’Escherichia coli. Ricerche come quella della Rice University (che è stata finanziata, in parte, anche dalla NASA e dal Dipartimento statunitense dell’Energia) permetteranno di chiarire meglio i meccanismi attraverso cui i fagi rendono meno efficiente l’attività dei cianobatteri, e questo aiuterà a trovare un possibile rimedio per evitare quello che potrebbe diventare, in futuro, un grave problema ecologico.

avatar

Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

You may be interested in: