Sperimentazione all’Università Cattolica di Milano. Un particolare sistema di realtà virtuale immersiva ha permesso a 50 volontari, sotto stretto controllo medico, di vivere l’esperienza di una sostanza psichedelica, senza effetti tossici per l’organismo. Gli allucinogeni come l’LSD, dichiarati illegali nel 1971, sono stati “recuperati” in Svizzera e in alcuni altri Paesi per terapie sperimentali contro le depressioni gravi resistenti ai farmaci, i disturbi del comportamento alimentare e le dipendenze da alcol.
Tutto ha inizio con il Rinascimento psichedelico
Il termine Rinascimento Psichedelico indica, ormai da una ventina d’anni, la rivalutazione scientifica delle potenzialità terapeutiche delle sostanze psichedeliche, diventate tutte illegali nel 1971, e da qualche tempo oggetto, invece, di decine di studi che ne stanno mettendo in luce potenzialità, limiti e rischi. Molecole come la dietilammide dell’acido lisergico (meglio conosciuta come LSD) e la psilocibina (principio attivo dei funghi psilocybe) hanno infatti svelato - se utilizzate sotto stretto controllo medico - numerose azioni terapeutiche nella cura di malattie quali le depressioni resistenti ai farmaci, i disturbi del comportamento alimentare, quelli ossessivo-compulsivi, le dipendenze da alcol, e altro ancora.
Come funzionano le terapie psichedeliche?
In estrema sintesi, l’azione degli psichedelici si esplica attraverso una sorta di blackout della trasmissione degli impulsi nervosi in alcune aree cerebrali, dopo il quale il cervello esplora nuove vie e crea nuove connessioni, riuscendo così a superare situazioni statiche e ripetitive tipiche di molti disturbi psichiatrici.
Tuttavia, le terapie con psichedelici sono complesse, richiedono personale specializzato da impiegare per molte ore, e, soprattutto, comportano quasi sempre una fase di allucinazioni non sempre facile da gestire. Per questi motivi, parallelamente alla ricerca sulle molecole “classiche”, aziende e centri di ricerca sono da tempo al lavoro per trovare farmaci o altri strumenti che riescano a riprodurre gli effetti terapeutici degli psichedelici senza però i rischi connessi a tali sostanze, che in certi casi possono diventare anche estremamente gravi.
Cyberdelics; la realtà virtuale immersiva come alternativa alle sostanze
In questo solco si inserisce la Cyberdelics (dall’unione di cybernetics e psychedelics), un approccio che non esclude la parte allucinatoria, ma la riproduce grazie alla realtà virtuale immersiva e all’intelligenza artificiale e, quindi, a qualcosa che è del tutto controllabile, almeno nella sua somministrazione.
Pionieri del settore sono alcuni ricercatori italiani, dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano), che hanno appena pubblicato, sulla rivista scientifica Dialogues in Clinical Neuroscience, i risultati di uno studio effettuato su cinquanta volontari sani. Il metodo di realtà virtuale utilizzato è stato chiamato Hallucinatory Visual Virtual Experiences (HVVE), e la sua applicazione era finalizzata a verificare alcuni elementi preliminari come la flessibilità cognitiva, il controllo delle inibizioni, le risposte emotive, insieme ad alcuni parametri che delineano l’attività del sistema nervoso periferico.
Lo studio
I partecipanti sono stati sottoposti ad alcune sedute di HVVE della durata di dieci minuti, con esperienze di realtà virtuale immersiva che riproducevano, come dicevamo, effetti psichedelici con allucinazioni visive, imitando quelle indotte dall'uso di sostanze psichedeliche. Gli ambienti cyberdelici sono stati progettati utilizzando specifiche tecniche di visualizzazione basate sull'intelligenza artificiale.
Il confronto tra le misurazioni effettuate prima e dopo la visione hanno confermato che la realtà virtuale immersiva ha apportato un aiuto.
I risultati dello studio sulla realtà virtuale immersiva come terapia
Nei 50 volontari sono migliorariil controllo delle inibizioni e la flessibilità cognitiva, così come i parametri legati al sistema nervoso periferico quali il battito cardiaco, che definiscono (anche) condizioni quali l’ansia e lo stress, e la relativa capacità di affrontarle (il cosiddetto coping).
Secondo i ricercatori, gli effetti della realtà virtuale immersiva sono potenzialmente simili a quelli che si possono ottenere con la somministrazione di sostanze psichedeliche classiche, a fronte di rischi minori, anche se non assenti, e di una gestione sicuramente più semplice.
Si tratta di un primo passo che, sempre secondo gli studiosi italiani, merita ulteriori approfondimenti, perché potrebbe risultare di aiuto a molte persone, anche se l’eventuale somministrazione andrebbe comunque eseguita in un ambiente controllato e gestita da personale formato. I test vanno avanti, e prossimamente dovrebbero iniziare quelli su persone con specifici disturbi. Si pensa che la Cyberdelics possa diventare un supporto alle terapie classiche, o anche un ponte tra la psicoterapia tradizionale e approcci psichiatrici innovativi.
Un laboratorio sicuro sugli stati alterati di coscienza
Intanto gli psichedelici “classici” procedono nel loro percorso di convalida, e in Svizzera, in Australia, negli Stati Uniti e in altri Paesi iniziano a essere somministrati in condizioni controllate e in cliniche specializzate, nell’ambito di protocolli sperimentali, per varie finalità terapeutiche.
In Italia, invece, l’Agenzia per il Farmaco (AIFA) ha di recente dato il suo via libera alla prima sperimentazione ufficiale della psilocibina per la cura della depressione resistente ai farmaci.
«Le esperienze psichedeliche digitali - precisano i ricercatori dell’Università Cattolica - non intendono sostituire le droghe. Il nostro obiettivo è quello di sfruttare la realtà virtuale e le tecnologie per creare un laboratorio sicuro in cui esplorare gli stati alterati di coscienza e il loro potenziale terapeutico».


