Un’équipe della Johns Hopkins University di Baltimora ha addestrato un sistema di chirurgia robotica utilizzando una tecnica vicina a quella di ChatGPT. La “macchina” è riuscita a eseguire in modo indipendente l’operazione, su un modello di organismo simile a quello umano. È la prima volta che accade.
Negli ospedali dei Paesi più avanzati, i robot chirurgici sono ormai sempre più utilizzati durante gli interventi.
Di norma è l’essere umano a operare guidarli in sala operatoria, con l’ausilio diusando speciali “joystick” molto sofisticati che governano i bracci meccanici e le sonde del robot, inserite nell’organismo del paziente. La “macchinaI robot” permetteno di eseguire movimenti impossibili con la normale laparoscopia, migliorando i risultati per alcuni tipi di interventi (soprattutto quelli alla prostata, al fegato e al retto), e dispongono anche di una microtelecamera, che offre al chirurgo un’immagine 3D del campo operatorio, ingrandita una decina di volte.
Ma allora - se tutto funziona così bene - perché alla Johns Hopkins University, e in altri centri, vogliono delegare tutto alla “macchina” robot, senza assistenza umana?
I robot chirurgici, suggeriscono i ricercatori, potrebbero svolgere un ruolo molto utile in caso di carenza di personale, o di emergenze. Ma non basta: per alcuni specifici interventi, o per una parte di certe operazioni (ad esempio, la preparazione iniziale) questa tecnologia, quando l’autoapprendimento sarà ai massimi livelli e certificato, potrà lavorare addirittura con maggiore precisione ed efficacia, rispetto agli umani.
Il primo intervento autonomo di un robot chirurgico
Per la prima volta un robot chirurgico ha eseguito in completa autonomia una lunga fase di asportazione della cistifellea (e ha ripetuto poi per otto volte complessivamente questa operazione, con ottimi risultati), imparando direttamente dalle videoregistrazioni di interventi reali. Durante le operazioni, condotte su modelli simulati altamente realistici (“lifelike patients” in inglese), con caratteristiche sovrapponibili a quelle umane, la macchina non solo ha mostrato destrezza e precisione, ma ha anche saputo rispondere ai comandi vocali dei chirurghi presenti in sala, proprio come avrebbe fatto un giovane specializzando.
I progressi della chirurgia robotica
Questi risultati sono stati descritti sulla rivista Science Robotics dai chirurghi e ingegneri della Johns Hopkins University di Baltimora (Stati Uniti), uno dei centri di riferimento internazionali per la sperimentazione della cosiddetta chirurgia autonoma. È un passo avanti importante - hanno spiegato i ricercatori - che porta i robot chirurgici a non essere soltanto macchine esecutrici di decisioni prese dai chirurghi umani, ma sistemi capaci di adattarsi in tempo reale, seguendo le procedure in modo indipendente e correggendosi da soli.
«Grazie a questa evoluzione, i robot comprendono veramente le procedure chirurgiche - conferma Axel Krieger, coordinatore dello studio. - Così ci avviamo sempre più verso sistemi chirurgici autonomi e clinicamente validi, in grado di operare nella realtà spesso caotica e imprevedibile dell'assistenza effettiva al paziente».
Il nuovo sistema, chiamato Surgical Robot Transformer-Hierarchy (SRT-H), si basa sulla stessa architettura di apprendimento automatico che alimenta modelli linguistici come ChatGPT. L’interattività è uno dei suoi punti di forza: può rispondere a comandi vocali del tipo «afferra il “collo” della cistifellea» o a correzioni come «sposta il braccio sinistro di un centimetro». Grazie a una continua interazione, il robot apprende e affina le proprie capacità.
Tre anni fa un intervento interamente automatico su un maiale
Non è la prima volta che il gruppo di Krieger sperimenta la chirurgia autonoma. Già nel 2022 il prototipo STAR (Smart Tissue Autonomous Robot) aveva eseguito un intervento laparoscopico su un maiale. Allora, però, le condizioni erano rigidamente controllate: il tessuto da asportare era “marcato” appositamente e il robot seguiva un piano predeterminato, un po’ come guidare su una strada stabilita già in partenza. Con SRT-H, invece, l’approccio è molto più ambizioso: «È come insegnare a un robot a orientarsi su qualsiasi strada, in qualsiasi condizione, reagendo in modo intelligente a ciò che incontra» - spiega Krieger.
Gli esperimenti hanno dimostrato anche la capacità del sistema di affrontare imprevisti. I ricercatori, per esempio, hanno modificato la posizione iniziale del robot e persino alterato l’aspetto degli organi usando coloranti simili al sangue: in tutti i casi SRT-H ha saputo adattarsi, lavorando “imperturbabile” e senza errori. «È un salto di qualità notevole, perché supera alcune delle barriere fondamentali che finora ci avevano impedito di immaginare robot autonomi in sala operatoria» - ha commentato Ji Woong “Brian” Kim, primo autore dello studio, oggi alla Stanford University.
La strada verso un intervento completamente autonomo, comunque, sarà ancora lunga. I ricercatori vogliono estendere l’addestramento ad altri tipi di operazioni e ampliare le capacità del sistema, per arrivare un giorno a una chirurgia robotica indipendente dall’inizio alla fine. Per adesso, comunque, il messaggio è chiaro: i robot chirurgici stanno uscendo dai laboratori sperimentali per sostituirsi, almeno in parte, alle attività umane. È solo questione di tempo.
