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Paolo Rossi Castelli14 apr 20202 min read

Così i robot aiutano a curare i malati di Coronavirus | Fondazione IBSA

«È come avere un’infermiera senza doversi preoccupare che si infetti». Così Francesco Dentali, direttore della terapia intensiva dell’Ospedale di circolo di Varese, ha commentato all’agenzia Reuters la sua prima esperienza con sei robot in reparto. Li hanno chiamati Tommy, come il figlio di Dentali, e sono arrivati il 27 marzo, con fattezze umanoidi e una serie di compiti precisi e importanti: “Entrano nelle camere e permettono il monitoraggio a distanza – scrive il sito dell’ospedale. – Grazie alla telecamera di cui sono dotati, il personale vede il paziente e il monitor che ha accanto, senza dover accedere fisicamente alla stanza, riducendo così il consumo di dispositivi di protezione e risparmiando tempo, compreso quello per la vestizione e la svestizione».

Secondo quanto riferisce Dentali, la prima reazione dei pazienti, soprattutto di quelli più anziani, è spesso negativa. Ma una volta presa confidenza, tutti capiscono quanto i Tommy possano essere utili: per esempio, consentono ai medici e agli infermieri di parlare in qualunque momento con le persone a letto. Inoltre, sono molto facili da utilizzare, perché hanno le facce touch-screen.

Alle potenzialità dei robot in corsia, soprattutto durante una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, è dedicato anche l’editoriale della rivista Science Robotics, firmato da diversi ricercatori europei, cinesi e americani, tra i quali quelli della University of California San Diego, che precisano meglio quali possono essere già oggi gli impieghi di queste macchine. Si va dalla pulizia e dalla sanificazione degli ambienti (azione che comporta sempre rischi per il personale umano, tanto di contagio quanto di intossicazione), alla raccolta dei rifiuti speciali ospedalieri; dalla distribuzione di farmaci a quella di cibo e bevande, fino alla telemedicina, come accade appunto a Varese con la “sorveglianza” dei parametri vitali. Anche la possibilità, per gli infermieri, di predisporre in un ambiente separato alcuni tipi di terapie, o di altre preparazioni, per poi inviarle al malato senza andare di persona, aumenta i margini di sicurezza.

Infine, i robot in un prossimo futuro potrebbero essere impiegati anche nell’esecuzione dei tamponi e degli esami sierologici, e nell’invio ai laboratori di quelli da analizzare.

Molte di queste funzioni sono state sperimentate durante le epidemie di Ebola, e al momento sono allo studio anche in Cina. I risultati sono sempre stati positivi dal punto di vista pratico, anche se restano da risolvere questioni di privacy, ma anche delicati risvolti psicologici, perché i pazienti chiedono che il tipo di interazione assicurata sia il più possibile simile a quella che avviene fra gli uomini.

«Ovviamente questi robot non eliminano il contatto umano, ma riducono semplicemente gli accessi – ha spiegato il professor Dentali. – Anzi, facendoci risparmiare il tempo della vestizione e svestizione (che ha un impatto notevole sulla nostra attività), ci permetteranno di migliorare proprio la qualità del tempo che dedicheremo ai nostri pazienti».

La difficile situazione indotta dalla pandemia di Covid-19 costituisce, dunque, un banco di prova anche per quanto riguarda questi nuovi dispositivi. Ed è probabile che il coronavirus spinga gli ingegneri e i medici ad accelerare i tempi per i Tommy del futuro.

 
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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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