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Paolo Rossi Castelli07 ago 20202 min read

Dopo 100 milioni di anni i batteri del mare si risvegliano | Fondazione IBSA

© Immagine copertina www.jamstec.go.jp

Hanno cento milioni di anni, eppure non li dimostrano: per tutto questo lunghissimo tempo sono rimasti “incastrati” nelle profondità del mare, ma hanno poi mostrato di essere pronti a riprendere il loro ciclo vitale, ad alimentarsi e a riprodursi, appena si fosse presentata l’occasione, e così hanno fatto, quando i ricercatori della Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology (JAMSTEC) e della Graduate School of Oceanography dell’Università americana del Rhode Island li hanno estratti dall’Oceano Pacifico, e messi nelle giuste condizioni. Sono i microrganismi trovati dalla nave specializzata JOIDES Resolution nei sedimenti (100 metri sotto il fondo del mare), a 6.000 metri di profondità.

I sedimenti marini sono composti da numerosi strati, che si formano con il passare del tempo (arrivano, in media, all’altezza di uno/due metri ogni milione di anni). Alcuni derivano dalla decomposizione di moltissimi tipi diversi di organismi, altri dalle deiezioni degli stessi, uniti a sabbie di differente tipo, a materiali di eruzioni sottomarine, di correnti oceaniche e molto altro, e – come dicevamo – si accumulano assai lentamente. I ricercatori volevano verificare se ci fosse, in profondità, qualche traccia di ossigeno, e in effetti ne hanno individuate in tutti i campioni delle trivellazioni effettuate. Ma, come riferito sulla rivista scientifica Nature Communications, hanno trovato molto di più: tracce, appunto, di microrganismi (batteri e altri), alcuni dei quali morti, ma nella stragrande maggioranza (99,1%) potenzialmente ancora vivi, in depositi che avevano non meno di 101,5 milioni di anni. Gli studiosi hanno portato in laboratorio i sedimenti che avevano estratto, ricreando – con procedure particolarmente avanzate – situazioni ambientali adatte a cicli vitali molto lenti, come quelle di questi microrganismi, abituati a condizioni proibitive.

I tentativi di “rianimarli” si sono rivelati vincenti, perché i quasi 7.000 microbi trovati nei sedimenti marini hanno mostrato tutte le caratteristiche tipiche di un organismo vitale, moltiplicandosi (il loro numero è aumentato di quattro volte in 68 giorni), e alimentandosi con materiali organici misurabili, perché marcati dai ricercatori con il carbonio radioattivo. Solo una parte di loro, costituita da microrganismi anaerobi (che cioè vivono senza ossigeno), ha mostrato scarsissime capacità di ripresa.

«La nostra domanda principale era se la vita potesse esistere in ambienti così difficili – spiega l’autore principale dello studio Yuki Morono, scienziato senior di JAMSTEC. – Volevamo anche capire per quanto tempo i microrganismi avrebbero potuto sostenere la loro vita in una quasi assenza di cibo».

Aggiunge Steven D’Hondt, professore della URI Graduate School e coautore dello studio: «Sapevamo che c’era la vita nei sedimenti marini, dove esiste materia organica sepolta. Ma quello che abbiamo scoperto è che la vita si estende anche molto al di sotto del fondo del mare».

Ora gli studiosi cercheranno di analizzare questi microrganismi, per valutarne l’eventuale pericolosità, ma anche le caratteristiche biologiche che potrebbero aiutarci a trovare nuovi farmaci e terapie.

 

 

 
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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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