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Luca Nicola20 mar 20192 min read

I rischi del perfezionismo

 
 

Thomas Curran è uno psicologo sociale che da anni studia gli effetti del perfezionismo negli studenti americani, canadesi e britannici. E i resoconti clinici che sta raccogliendo sono piuttosto allarmanti. Tra i giovani il perfezionismo sta assumendo le proporzioni di una vera e propria malattia sociale, che li espone a una serie di difficoltà psicologiche come depressione, ansia, anoressia, bulimia e persino idee suicide.

Cosa sta accadendo? Secondo Curran, questo fenomeno dipende molto da come siamo stati educati e, soprattutto, da come educhiamo i nostri figli. Non a caso, “è l’istruzione la prima arena in cui la misurazione è utilizzata pubblicamente per migliorare continuamente standard e prestazioni”.

Ma fuori dall’istituzione scolastica, le cose non vanno meglio. Tutt’altro.

Sulle onnipresenti piattaforme di social media – Instagram, Facebook, Snapchat – e nella nuova cultura visiva in cui siamo immersi, l’apparenza della perfezione è molto più importante della realtà”.

Questi fenomeni sociali sono una diretta emanazione dei nostri più radicati sistemi di credenze.

Prendiamo l’idea al centro del sogno americano: niente è irraggiungibile per coloro che lo vogliono davvero. Che ha come corollario l’idea che il duro lavoro paga sempre. E soprattutto, l’idea che siamo capitani del nostro destino.

Tutte queste convinzioni – se assolutizzate – collegano la nostra ricchezza, il nostro status e la nostra immagine con il nostro innato valore personale. E spingono incessantemente a cercare di adeguarsi a modelli che, molto spesso, sono semplicemente irraggiungibili.

Ma come si riconosce il perfezionismo? Curran ne distingue di tre tipi.

Il primo è il perfezionismo auto-orientato, il desiderio irrazionale di essere perfetto: “Mi sforzo di essere il più perfetto possibile”.

Il secondo è il perfezionismo socialmente prescritto: “Sento che gli altri sono troppo esigenti nei miei confronti”.

E il terzo è il perfezionismo orientato agli altri, l’imposizione di standard non realistici su altre persone: “Se chiedo a qualcuno di fare qualcosa, mi aspetto che sia fatto alla perfezione”.

In tutti i casi, quello che il perfezionismo non ci dice è che ci trascina in un vortice di dipendenza senza fine:

“Subito dopo aver raggiunto un vertice, saremo chiamati di nuovo dall’insicurezza e dalla vergogna a cercare di ridimensionare quel picco. Questo è il ciclo di auto-sconfitta. Nella continua ricerca della perfezione irraggiungibile, un perfezionista non può più scendere. Ed è il motivo per cui è così difficile da trattare”.

Ma se le cose stanno così, c’è speranza? Certo che c’è, ci dice Curran. I genitori e gli adulti possono aiutare i ragazzi sostenendoli incondizionatamente quando provano e falliscono, senza affrontare i successi e i fallimenti dei figli come se fossero i loro.

E forse per tutti è giunto il momento di cominciare a guardare le cose da una prospettiva più umana.

“Quando capiremo che c’è qualcosa di fondamentalmente disumano nella perfezione senza limiti? Nessuno è impeccabile. Per aiutare i nostri giovani a sfuggire alla trappola del perfezionismo, dovremo insegnare loro che in un mondo caotico, la vita ci sconfiggerà spesso. Ma va bene così.”

Dobbiamo invitare i nostri giovani a celebrare le gioie e le bellezze dell’imperfezione come una parte normale e naturale della vita quotidiana e dell’amore. Che sono comunque imprevedibili e non saranno mai sotto il nostro completo controllo.

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Luca Nicola

Copywriter dal 1988, ha iniziato la sua carriera in De Agostini, per poi scegliere di continuare come freelance. Laureato in Filosofia, attualmente è anche docente di Web Marketing presso il Centro di Formazione Federlegno. Come consulente di comunicazione lavora da anni per molti clienti, tra cui alcuni grandi gruppi internazionali. Nel 2012 ha aperto il blog personale "Mela N" dove tratta argomenti legati alla Scrittura, alla Comunicazione, al Content Marketing e allo Storytelling.

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